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QdB – Questioni di Bioetica n. 2/2023

Fulvio Di Blasi*

Di recente, una persona sui social media, dopo avermi attribuito erroneamente l’idea, scritta in questo articolo, che la morale cattolica tradizionale rappresenti un «insegnamento povero, timoroso che non ha alcuna incidenza o rilevanza per i fedeli», mi ha detto che in ogni caso «il principio di inseparabilità è dimostrato essere falso». Il contesto del nostro scambio era ovviamente l’etica sessuale cattolica, ed egli si riferiva al principio (usato in Humanae Vitae) secondo cui i due significati dell’atto sessuale (procreativo e unitivo) non possono essere separati. La mia discussione con lui ha rivelato alcuni fraintendimenti comuni riguardo a questo argomento ed è quindi utile riportarla.

Devo dire che sono rimasto perplesso dalla sua affermazione così netta perché non avevo mai sentito di una verità, per ipotesi, talmente ovvia su un principio che io stesso ho spiegato molte volte a lezione e per iscritto. Mi sono dunque limitato a rispondere che il principio di inseparabilità è uno dei capisaldi più belli e solidi dell’insegnamento magisteriale, e che non ho mai letto argomentazioni credibili in grado di negarlo.

“Significato indipendente” equivale a “significato separabile”?

Pensai che ciò fosse sufficiente per il nostro scambio amichevole sul social, ma lui tornò subito alla carica affermando con decisione che il principio era roba vecchia, che

«Lo scopo primario del matrimonio (la procreazione) è indipendente dal secondario, e quindi è “separabile”, perché non dipende dal secondario per esistere».

La prima cosa che attirò la mia attenzione in questa frase fu la confusione logica di collegare necessariamente “essere indipendente” ad “essere separabile”, come se il principio di inseparabilità potesse implicare l’impossibilità di uno dei significati di esistere senza l’altro. Non ero del tutto sicuro che questo fosse il suo vero problema, ma pensai che fosse rilevante e risposi:

«Stai commettendo un tipico errore logico in etica. Ogni norma o principio morale implica la possibilità fattuale di infrangerlo. Ad esempio, il fatto che sia possibile partorire o crescere un figlio senza amore non significa che sia moralmente lecito farlo. Quando usiamo il termine “impossibile” in morale esprimiamo un dovere, non un’impossibilità fattuale. Il principio di inseparabilità dei significati procreativo e unitivo va ovviamente inteso in senso morale. La possibilità fattuale di separare i significati non è un’obiezione, è una premessa logica del principio morale. Se non si potessero separare de facto, non ci sarebbe bisogno di formulare il principio etico».

“Indipendente” equivale a “primario” e ad “essenziale”?

Pensai che questo avrebbe risolto la questione ma mi sbagliavo perché lui, oltre a confondere indipendenza con inseparabilità, confondeva anche “primario” con “essenziale” e pensava che il principio di inseparabilità implicasse l’affermazione dell’esistenza di due fini primari.

Per ragioni sconosciute, mi aveva attribuito questa idea eccentrica che ci fossero due fini primari:

«Il primario è indipendente. Il secondario è dipendente. C’è solo uno scopo primario (essenziale) nel matrimonio. Tu stai dicendo che ci sono due scopi principali. Il # deve essere corretto prima che possa essere identificata la liceità di qualsiasi questione relativa al matrimonio».

Naturalmente, dovette ammettere che io non avevo mai detto una cosa del genere, ma aggiunse:

«Non è una tua citazione, tuttavia “due scopi primari” è il risultato necessario di “inseparabilità”. Quanti degli scopi del matrimonio dici che sono essenziali ad esso?»

Non senza un pizzico di pazienza e di buon umore, dovetti ricordargli che il punto di vista classico non ha nulla a che vedere con l’idea di due fini primari:

«Beh, la visione tradizionale, che è anche la mia, è che ci sono due fini, uno primario e uno secondario».

Ma lui insistette immediatamente di tornare alla presunta connessione intrinseca tra i concetti di “primario” ed “essenziale”.

«Okay, dei due fini quanti sono essenziali al matrimonio?»

La mia risposta fu, naturalmente: «Entrambi». Così, lui insistette ulteriormente:

«Se entrambi sono essenziali, allora nessuno dei due è indipendente dall’altro. Tuttavia, la Chiesa insegna che lo scopo primario del matrimonio non dipende dal secondario nella sua perfezione essenziale. Come si rimedia a questa contraddizione?»

Questa risposta rivelava lacune metafisiche più profonde. Decisi quindi di provocare il mio interlocutore con un’analogia metafisica che evidenziasse altri tipi di elementi essenziali, di cui uno primario e uno secondario, che non implicassero inseparabilità. Chiesi anche citazioni specifiche del Magistero per capire meglio da dove provenissero i suoi dubbi.

«Animale e razionale sono entrambi essenziali per l’essere umano? Quale dei due è primario? Sono dipendenti l’uno dall’altro? Come è possibile la morte? Dov’è, esattamente, che la Chiesa insegna quello che dici? Fornisci per piacere citazioni esatte per ciò che affermi».

Pio XII

A questa mia sollecitazione, egli rivelò dunque la fonte magistrale della sua convinzione. Era Pio XII.

«Uno “scopo” essenziale può esistere indipendentemente dal suo scopo secondario. Ma lo scopo secondario non può esistere senza quello primario. Ecco perché l’oggetto legale del consenso matrimoniale è solo lo scopo primario, e non quello secondario. Ecco Pio XII che condanna il “primario dipendente”».

Questa frase rivelava ancora la confusione tra “essenziale” e “primario”, ma almeno aggiungeva un riferimento a un documento che, sebbene redatto da Pio XII, fu emanato dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio (Decreto sui fini del Matrimonio, 1° aprile 1944). Il mio interlocutore stranamente non aveva notato che l’intero punto che Pio XII voleva esprimere era riaffermare la dottrina secondo la quale esistono alcuni “beni” o “proprietà essenziali” del matrimonio (Pio PP. XI, Casti Connubii, 1930) di cui uno è primario (procreazione) e altri secondari, e che i beni secondari non possono essere interpretati come indipendenti.

Ecco come si esprime il Decreto del 1944 (citato dal mio amico online e tradotto da me dall’inglese perché non sono riuscito a trovare facilmente l’originale in latino o italiano):

«Un nuovo modo di pensare e di parlare nacque qui per fomentare errori e incertezze; cercando di scongiurare queste cose, gli Eminentissimi e Reverendissimi Padri di questa Suprema Sacra Congregazione, incaricati di custodire le cose di fede e di morale, nell’adunanza plenaria della Feria IV, tenuta il dì 29 marzo 1944, al dubio posto dinanzi loro: «Se si possa ammettere l’opinione di certi [autori] moderni, i quali o negano che il fine primario del matrimonio sia la generazione e l’educazione della prole, oppure insegnano che i fini secondari non sono essenzialmente subordinati al fine primario, ma sono ugualmente preminenti e indipendente?”; hanno decretato la risposta: Negativa” (Decreto sui fini del matrimonio, 1 aprile 1944)»

E questo è il modo in cui Pio XII stesso riassunse quel che era successo:

«Ora la verità è che il matrimonio, come istituzione naturale, in virtù della volontà del Creatore non ha come fine primario e intimo il perfezionamento personale degli sposi, ma la procreazione e la educazione della nuova vita. Gli altri fini, per quanto anch’essi intesi dalla natura, non si trovano nello stesso grado del primo, e ancor meno gli sono superiori, ma sono ad esso essenzialmente subordinati. Ciò vale per ogni matrimonio, anche se infecondo; come di ogni occhio si può dire che è destinato e formato per vedere, anche se in casi anormali, per speciali condizioni interne ed esterne, non sarà mai in grado di condurre alla percezione visiva.

Precisamente per tagliar corto a tutte le incertezze e le deviazioni, che minacciavano di diffondere errori intorno alla scala dei fini del matrimonio e ai loro reciproci rapporti, redigemmo Noi stessi alcuni anni or sono (10 marzo 1944) una dichiarazione sull’ordine di quei fini, indicando quel che la stessa struttura interna della disposizione naturale rivela, quel che è patrimonio della tradizione cristiana, quel che i Sommi Pontefici hanno ripetutamente insegnato, quel che poi nelle debite forme è stato fissato dal Codice di diritto canonico (can. 1013 § i). Che anzi poco dopo, per correggere le contrastanti opinioni, la Santa Sede con un pubblico Decreto pronunziò non potersi ammettere la sentenza di alcuni autori recenti, i quali negano che il fine primario del matrimonio sia la procreazione e la educazione della prole, o insegnano che i fini secondari non sono essenzialmente subordinati al fine primario, ma equipollenti e da esso indipendenti (S. C. S. Officii, I aprile 1944 – Acta Ap. Sedis vol. 36, a. 1944. 103)» (Pius XII, Discorso di Sua Santià PIO PP. XII alle partecipanti al congresso della Unione cattolica italiana ostetriche, Lunedì 29 ottobre 1951).

E ancora:

«due tendenze sono da evitarsi: quella che nell’esaminare gli elementi costitutivi dell’atto della generazione dà peso unicamente al fine primario del matrimonio, come se il fine secondario non esistesse o almeno non fosse finis operis stabilito dall’Ordinatore stesso della natura; e quella che considera il fine secondario come ugualmente principale, svincolandolo dalla essenziale sua subordinazione al fine primario» (Pius XII, Discorso al Tribunale della Sacra Romana Rota, 3 ottobre 1941).

Dunque, questo è il modo in cui risposti io al riferimento del mio interlocutore:

«Questo documento non dice che l’unità non è essenziale al matrimonio ma che è subordinata al fine primario (essenziale), che è esattamente quello che ho detto io fino adesso. Continui a confondere i concetti di “essenziale/non essenziale” con quelli di “primario/secondario”. Il significato secondario del matrimonio è essenziale per il matrimonio anche se è essenzialmente subordinato al fine primario. Non vedo alcun problema logico qui».

Tuttavia, egli aveva fatto di più che confondere quei significati. Sorprendentemente, aveva affermato che «l’oggetto legale del consenso matrimoniale è solo lo scopo primario, e non quello secondario». Così, gli ricordai cortesemente ciò che statuisce effettivamente al riguardo il Codice di diritto canonico:

«Potrebbe esserti utile considerare il canone 1096, che chiarisce, in termini di validità, ciò che è essenziale per l’esistenza del consenso matrimoniale: “Can. 1096 §1. Perché possa esserci il consenso matrimoniale, è necessario che i contraenti almeno non ignorino che il matrimonio è la comunità permanente tra l’uomo e la donna, ordinata alla procreazione della prole mediante una qualche cooperazione sessuale”. Il concetto di “comunità permanente” include un riferimento all’unità (fine secondario), che è tanto essenziale al contratto quanto lo è il fine primario (“ordinata alla procreazione”)».

Matrimonial Consent and the Conjugal Act

Lui insistette:

«Nel definire giuridicamente il matrimonio, “unità” si riferisce solo all’esclusività, cioè alla lealtà, cioè alla fedeltà. Se l’“inseparabilità” è vera, allora nessuno scopo del matrimonio è indipendente, giusto?»

Interpretai questa ulteriore risposta come una difficoltà a collegare il significato unitivo all’amore, generando anche un contrasto eccentrico tra l’amore, da un lato, e i concetti giuridici di esclusività, lealtà o fedeltà, dall’altro. Dopotutto, egli aveva appena affermato che «l’oggetto legale del consenso matrimoniale è solo lo scopo primario» (vale a dire, pensava che l’unità non ne facesse parte). Stava chiaramente cercando ora (dopo che gli ricordai il canone 1096 sulla «comunità permanente») di interpretare giuridicamente “l’unità” in modo diverso da quello espresso dal principio di inseparabilità. Pertanto, nella mia risposta mi concentrai sull’importante coerenza che deve esistere tra le definizioni giuridiche e la sostanza delle cose.

«La definizione giuridica dei requisiti di sussistenza deve corrispondere alla sostanza perché indica ciò che è essenziale alla reale esistenza del matrimonio, in questo caso rispetto alla purezza della volontà. Se la volontà non include l’essenziale, il matrimonio non nasce. Se la volontà non include alcuni elementi importanti ma accidentali, il matrimonio nasce ma potrebbe essere viziato (annullabilità). In tutte le spiegazioni che conosco (compresa quella dell’Aquinate) l’indissolubilità è legata alla purezza dell’amore sponsale (unità) e non alla procreazione perché la procreazione di per sé, concettualmente, non richiede l’indissolubilità (ma al massimo una certa stabilità per un numero sufficiente di anni: cfr. Summa contra gentiles, III, 122). Tuttavia, la procreazione è il significato primario del matrimonio. Ovviamente, l’inseparabilità dei significati del matrimonio non implica l’inseparabilità rispetto a tutti gli atti interni al matrimonio, tranne che nel caso dell’atto coniugale. Una bella gita con la moglie e un abbraccio quando ha paura hanno bisogno in sé di amore ma non di procreazione. L’atto coniugale ha bisogno di entrambi perché la gita e l’atto coniugale sono cose molto diverse, anche all’interno del matrimonio. Logicamente, è molto diverso riferire l’inseparabilità al matrimonio nel suo insieme o ai singoli atti che i coniugi compiono continuamente all’interno del matrimonio. C’è solo un atto all’interno del matrimonio che lo definisce così tanto da includere necessariamente entrambi i significati, e guarda caso questo atto (l’atto coniugale) è necessario per l’effettiva conclusione del matrimonio, che lo rende indissolubile».

Predicazioni analogiche

Il mio interlocutore non si lasciò mai coinvolgere dalle mie sollecitazioni concettuali. Il suo unico problema era sostenere l’obiezione logica che il principio di inseparabilità è negato dall’affermazione che il fine primario è indipendente da quelli secondari e, quindi, separabile.

«“Scopi “inseparabili” del matrimonio = nessuno scopo può esistere indipendentemente dall’altro. Pio XII dice che lo scopo primario del matrimonio è “indipendente” dallo scopo secondario. Sbagliava?»

I filosofi sentono sempre il bisogno primario di chiarire i significati dei termini, soprattutto quando sono coinvolti vari significati analogici. Pensai che questo era uno di quei casi in cui questo bisogno doveva essere soddisfatto. Quindi, scrissi quanto segue:

«Non si possono ridurre significati analogici a significati univoci. Sia “inseparabilità” che “indipendenza” possono riferirsi, ad esempio: a) al contratto matrimoniale; b) al matrimonio in fieri come comunità di persone; c) all0oggetto di ogni singolo atto; d) all’intenzione dell’agente. Non c’è contraddizione, ad esempio, nel dire che i due significati sono inseparabili rispetto ad “a)” e non rispetto a “c)” o “d)”. Humanae Vitae dice che sono inseparabili rispetto a “c)” nel contesto specifico dell’atto coniugale».

Il punto è che la dottrina dell’inseparabilità dei due significati è stata utilizzata in Humanae Vitae per spiegare l’immoralità della contraccezione rispetto al suo oggetto. Non è stato utilizzato per spiegare la moralità di ogni possibile azione compiuta dai coniugi come coppia sposata. Questa dottrina o principio non significa che anche nell’atto di scegliere la serata del film a casa questi due significati debbano essere presenti e inseparabili. Chiaramente, il matrimonio nel suo insieme – la convivenza dei coniugi – richiede essenzialmente entrambi i significati, ma per quanto riguarda gli atti specifici della vita coniugale, ce n’è solo uno capace di racchiudere l’essenza stessa del matrimonio, l’atto coniugale.

Ancora, l’analisi dell’atto umano può essere fatta rispetto all’oggetto, al fine e alle circostanze. Nel caso di atti intrinsecamente cattivi, l’analisi dell’oggettività dell’atto precede e rende superflua (almeno sotto questo aspetto) quella del fine e delle altre circostanze. Ciò significa che Humanae Vitae, anche rispetto all’atto coniugale, non aveva bisogno di riferire il principio di inseparabilità alle intenzioni dei coniugi. Humanae Vitae si concentra sull’ordine della moralità oggettiva.

Conclusione

La discussione online con il mio amico non è finita qui e forse non finirà mai, ma questo basta qui per chiarire almeno alcuni punti importanti riguardo a questo argomento. In fin dei conti, il suo dubbio riguardava la possibile contraddizione tra il principio di inseparabilità e la presunta indipendenza del fine primario. Come gestire questo dubbio? Una risposta è che Pio XII e il Magistero hanno usato il concetto di “indipendenza” solo per smentire tesi erronee che cercavano di rendere indipendente la finalità secondaria. Una risposta più logica, che cerca di salvare un possibile uso corretto del termine, sta nella predicazione analogica e nelle distinzioni logiche che ho riportato.

Le caratteristiche essenziali, definitorie, non possono essere indipendenti nel senso che se ne manca una la cosa non c’è. Essere animale ed essere razionale sono entrambi essenziali per l’essere umano. Se ne manca uno, non c’è nessun essere umano. Da questo punto di vista, non importa se una caratteristica è primaria (l’essere razionale) e l’altra secondaria (l’essere animale). Ciò, tuttavia, non significa che tutto ciò che riguarda l’essere umano debba avere entrambe le caratteristiche presenti. Ad esempio, la digestione, la mitosi cellulare o il sonno non hanno bisogno di essere definiti in termini sia di attività animali che razionali. C’è un senso in cui appartengono tutti all’essere umano e un altro senso in cui non sono razionali di per sé. Altri atti, invece, includono essenzialmente la definizione dell’essere umano: ad esempio, la scelta (morale).

Allo stesso modo, il matrimonio è essenzialmente definito in termini sia di procreazione che di unità (amorosa), ma ciò non significa che ogni atto nella vita coniugale includa entrambi gli elementi come tratti definitori. In molti atti ordinari che caratterizzano la vita coniugale (cucinare una bella cenetta, abbracciarsi dopo uno spavento o difendere il figlio da uno sconosciuto) i due significati possono essere descritti come separabili e indipendenti.

La separabilità e l’indipendenza possono anche essere predicate in molti casi dell’ordine dell’intenzione e dell’ordine morale oggettivo (senza sottovalutare la differenza tra il fine abituale e l’intenzione del fine prossimo). I coniugi non hanno bisogno di pensare costantemente alla procreazione in ogni atto della loro vita. Devono solo agire in un contesto in cui lo scopo della procreazione sia oggettivamente rispettato.

Un’ultima nota sull’amore e la procreazione. Molti non capiscono perché l’amore nel matrimonio, anche se più importante in sé, è secondario. L’amore è il significato più alto (inseparabile da ogni altro, almeno come fine abituale) in ogni realtà umana perché è il primo comandamento della legge e la ragione di tutta la nostra esistenza. Tuttavia, l’amore può esistere senza il sesso (si pensi agli angeli o all’amore per i bambini). L’unica ragione dell’esistenza del sesso è la procreazione, ma la procreazione deve avvenire nella realtà umana, che è informata dal precetto dell’amore. Allo stesso modo, possiamo dire che il significato primario del martello è piantare chiodi anche se costruiamo il martello per costruire la nostra casa. In questo caso la casa è un significato superiore del martello ma non il suo significato primario. La vita sessuale è principalmente ordinata alla procreazione ma è anche essenzialmente ordinata (come ogni altra cosa nella nostra esistenza) all’amore per Dio e per il prossimo. Nell’ordine amoroso della creazione, anche la procreazione – e l’esistenza diacronica del genere umano nella storia – è ordinata all’amore di Dio.

* Fulvio Di Blasi, Ph.D., Avvocato, è esperto di filosofia morale e autore, tra gli altri, di Dio e la legge naturale: Una rilettura di Tommaso d’Aquino, From Aristotle to Thomas Aquinas: Natural Law, Practical Knowledge, and the Person, and Vaccino come atto d’amore? Epistemologia della scelta etica in tempi di pandemia.

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