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di Luisella Scrosati

QdB – Questioni di Bioetica 1/2022

Dove e come era iniziato questo sentiero

            Nel 1999 una donna statunitense, Debra Vinnedge, fonda l’associazione Children of God for Life, con lo scopo di iniziare una campagna di sensibilizzazione per ottenere vaccini etici. Qual era e qual è il problema? Per realizzare numerosi vaccini sono state utilizzate linee cellulari, provenienti da tessuti ricavati da feti abortiti. Utilizziamo il verbo “realizzare” nel senso più ampio possibile, includendo nella realizzazione le diverse fasi di ricerca, sviluppo, produzione, test.

Il problema precede la messa in atto della vaccinazione di massa contro la Covid-19: già il trivalente Priorix il  M-M-RVAXPRO (MPR), come anche il quadrivalente Priorix Tetra e ProQuad, ed altri vaccini utilizzano linee cellulari ricavate da tessuti di bambini abortiti[1].

Certamente, la diffusione dei sieri impropriamente denominati vaccini contro la Covid-19 ha riportato il problema in primo piano, spingendo la Congregazione per la Dottrina della Fede, come vedremo, a ritornare nuovamente sulla questione etica.

Per diversi mesi, i mezzi di comunicazione hanno cercato di gettare fumo negli occhi non solo sminuendo il problema, ma persino negando che le case farmaceutiche produttrici dei nuovi “vaccini” si fossero avvalse delle linee cellulari in questione. Tuttavia, gli studi pubblicati non lasciano più dubbi a riguardo.Per la realizzazione del farmaco di Moderna utilizza è stata utilizzata la linea cellulare HEK-293 (e la 293T) in tre momenti differenti: per esprimere la proteina Spike[2], per sovraesprimere il recettore ACE-2 in un test di neutralizzazione per rilevare la presenza di anticorpi[3] e infine in un test per l’espressione dell’mRNA in vitro[4]. La linea cellulare HEK-293 è stata utilizzata anche da Pfizer per verificare la presenza di anticorpi[5]. AstraZeneca ha utilizzato la HEK-293 per la propagazione del virus[6], mentre Johnson&Johnson si è servita della PER C6, sempre con lo scopo di far sviluppare il virus[7].

L’ultimo “vaccino” autorizzato in Italia, prodotto da Novavax, è stato realizzato ricorrendo ad una linea cellulare di insetto SF9 nella fase di sviluppo; tuttavia, i ricercatori menzionano l’utilizzo della HEK-293 alla fine della fase di sviluppo[8].

Torniamo a Debby Vinnedge e all’associazione da lei fondata. Nell’aprile 2001, una giovane madre, Shannon Law si trovava di fronte ad un dilemma: vaccinare la figlia contro la varicella, sapendo di utilizzare un vaccino prodotto con linee cellulari illecite, oppure accettare l’espulsione della figlia dalla scuola. La signora Law decise di contattare direttamente la Congregazione per la Dottrina della Fede e in un secondo momento la Children of God for Life, che, su richiesta della Congregazione, iniziò ad inviare materiale sul problema delle linee cellulari ricavate da tessuti di feti abortiti per realizzare i vaccini.

Il 9 giugno 2005, Mons. Elio Sgreccia, all’epoca presidente della Pontificia Accademia della Vita, incaricato dal Cardinale Prefetto della CDF, S. E. Joseph Ratzinger, poteva finalmente inviare una risposta[9] a Debra Vinnedge, risposta che rappresenta il primo pronunciamento sul tema etico in questione.

Perché si tratta di un problema?

            Non dobbiamo pensare che queste linee cellulari provengano da tessuti ottenuti da resti di bambini abortiti giacenti nei laboratori, quasi fossero un tentativo utile di recupero di “scarti umani”. Le linee cellulari sono per definizione colture di cellule capaci di vivere e crescere indefinitamente. Dunque, è semplicemente senza senso pensare che si tratti di prelievo di tessuti “morti”, tessuti cioè non più irrorati.

Potrebbero trattarsi di aborti spontanei? Quando pensiamo alle linee cellulari fetali, dobbiamo tener presente che esse provengono da bambini che avevano da un minimo di 6 settimane (nel caso della RA273, ricavata da un rene di un bambino di sesso sconosciuto) a un massimo di 16-18 settimane (PER-C6, dalla retina). Nel primo caso l’embrione misura circa 4 millimetri, nel secondo circa 12 centimetri. Perché questa precisazione? Perché è del tutto escluso che si possa parlare  di aborti spontanei[10], in quanto il processo rapido di autolisi renderebbe inutilizzabili i tessuti. Da escludere anche le tecniche abortive consuete, come l’aspirazione o la soluzione salina, che renderebbero i tessuti ugualmente inadatti.

Non resta che una soluzione: indurre il parto e estrarre dal bambino i tessuti interessati. Si tratta di bambini vivi – e dunque di una vera e propria vivisezione – oppure appena morti? Non è possibile sbilanciarsi. In entrambi i casi – ed è quello che è rilevante dal punto di vista etico -, esiste una chiara correlazione tra il prelievo degli organi e gli aborti, come dimostra anche l’attenta selezione delle “donatrici” di feti. Per la linea cellulare Walvax-2[11], ad esempio, ottenuta dal polmone di una bimba di tre mesi, è stato necessario il sacrificio di nove feti, selezionati accuratamente secondo i criteri riportati nello studio pubblicato, necessari «per garantire l’elevata qualità dei ceppi cellulari: 1) età gestazionale compresa tra i 2 e i 4 mesi; 2) induzione del parto con il metodo water bag; 3) la professione dei genitori non deve prevedere contatto con prodotti chimici e radiazioni; 4) entrambi i genitori devono essere in buona salute senza malattie neoplastiche e genetiche, e senza alcuna storia di trapianti di tessuti e di organi nella linea familiare per 3 generazioni; 5) nessuna malattia infettiva».

Questo dimostra la chiara correlazione tra aborto e prelievo dei tessuti. Il problema morale si colloca a questo livello, come spiega Mons. Sgreccia[12]: non importa se l’aborto si sarebbe realizzato comunque, ma importa il fatto che quello o quegli aborti sono stati eseguiti in correlazione all’estrazione dei tessuti.

Non si può però tacere del tutto che più di un sospetto porta a ritenere che, in queste operazione di prelievo dei tessuti fetali, il bambino sia in realtà vivo. L’11 agosto 2021, Fox News[13] riportava una notizia molto interessante. E’ stata resa nota una documentazione dell’Università di Pittsburgh, nella quale veniva comunicato al National Institutes of Health lo sviluppo di una tecnica per l’acquisizione, il controllo di qualità e la distribuzione di esemplari di organi genitali e urinari umani prelevati da bambini tra le 6 e le 40 settimane di gestazione. In questo documento, l’Università di Pittsburgh afferma di poter ridurre il tempo d’ischemia per assicurare la qualità del prodotto. Il portavoce dell’Università, David Seldin dichiarava a Fox News: «In questo caso, il tempo d’ischemia si riferisce al tempo dopo la procedura di raccolta dei tessuti e prima della refrigerazione per lo stoccaggio e il trasporto». Se l’ischemia inizia dopo la raccolta degli organi, questo significa che durante questa raccolta il sangue circola e dunque c’è attività cardiaca.

La traiettoria del sentiero

            Il 5 giugno del 2005 la PAV pubblicava dunque una Nota, ormai introvabile sul sito della medesima, dal titolo Riflessioni morali circa i vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti[14], in risposta alle questioni sollevati da Debra Vinnedge. Che cosa si afferma in quel documento?

Prima di tutto, si riconosce «la connessione esistente tra la preparazione dei vaccini summenzionati e gli aborti procurati dai quali sono stati ottenuti i materiali biologici necessari per tale preparazione». Il documento prosegue con l’obbligo morale di respingere  ogni forma di cooperazione formale, ossia di condivisione dell’intenzione cattiva «di chi ha compiuto l’aborto volontario che ha permesso il reperimento dei tessuti fetali, necessari alla preparazione dei vaccini». Chi condivide la liceità di poter uccidere un bambino per prelevarne dei tessuti, qualunque siano le conseguenze “positive” di questo atto, partecipa alla medesima malizia morale di chi materialmente compie l’atto tecnico.

Nel caso della cooperazione materiale – ossia una cooperazione che esclude la condivisione dell’intenzione cattiva -, si afferma che, «per quanto riguarda la preparazione, distribuzione e commercializzazione di vaccini realizzati grazie a l’impiego di materiale biologico la cui origine è collegata a cellule provenienti da feti volontariamente abortiti, in linea di principio va detto che tale processo è moralmente illecito». Dal testo appena citato, emerge un problema morale specifico, associato a, ma distinto dall’aborto commesso, ossia la preparazione, distribuzione e commercializzazione dei vaccini illeciti; e dunque, a fortiori, anche tutta quella rete che realizza e commercializza le linee cellulari fetali e in genere i tessuti provenienti da feti abortiti.

I «produttori di questi vaccini, qualora essi non denunciassero e rifiutassero pubblicamente l’atto cattivo d’origine (l’aborto volontario), ed insieme non si impegnassero a ricercare e a promuovere forme alternative» pongono in atto una forma di cooperazione passiva, moralmente riprovevole.

La sezione del documento più articolata riguarda il giudizio morale su chi si avvale dei vaccini realizzati mediante l’utilizzo di queste linee cellulari illecite. Tre sono le forme di cooperazione materiale che vengono individuate su questo versante. Anzitutto, «una forma di cooperazione materiale mediata molto remota, e quindi molto debole, rispetto alla produzione dell’aborto, e una cooperazione materiale mediata, rispetto alla commercializzazione di cellule procedenti da aborti, e immediata, rispetto alla commercializzazione dei vaccini prodotti con tali cellule”. Dunque, la cooperazione si gioca su tre livelli ben precisi e solo il primo di essi riguarda direttamente l’aborto. E’ nei confronti dell’aborto che la cooperazione materiale di chi in concreto utilizza questi preparati risulta mediata e remota. Non così invece nei confronti di tutta quella filiera che va dai produttori e venditori delle linee cellulari illecite fino a chi realizza e commercializza i vaccini o altri preparati che si avvalgono di queste linee cellulari nelle loro fasi di sviluppo, produzione e test. Qui la cooperazione materiale diviene mediata ma non più remota, o addirittura immediata. E’ quanto il buon senso coglie: l’utilizzo di questi prodotti di fatto costituisce una cooperazione con questa filiera di morte e sfruttamento, che costituisce un continuum.

Non a caso, il documento sottolinea che l’aspetto più considerevole, in questo contesto, che non dev’essere trascurato, è quello della “cooperazione passiva” e precisa che «ai fedeli e ai cittadini di retta coscienza (padri famiglia, medici, ecc.) spetta di opporsi, anche con l’obiezione di coscienza, ai sempre più diffusi attentati contro la vita e alla “cultura della morte” che li sostiene». Di fronte a quella che è a tutti gli effetti una filiera di sfruttamento e morte, non ci si può limitare a non cooperare attivamente. Occorre invece un’opposizione attiva e fattiva, perché questo sistema venga progressivamente logorato, fino ad implodere. A questo riguardo la dimensione culturale diviene centrale; infatti «l’uso di tali vaccini contribuisce a creare un consenso sociale generalizzato all’operato delle industrie farmaceutiche che li producono in modo immorale». L’accettazione di fatto di questi preparati contribuisce ad affievolire, fino ad estinguerla, la coscienza del male che è all’origine di questo sistema, ossia che alcuni uomini possano essere sacrificati ed essere ridotti a meri fornitori di materiale biologico per il “bene” di altri.

Per questo il documento raccomanda di ricorrere a vaccini alternativi, ad esercitare «ogni pressione sulle autorità politiche e sui sistemi sanitari affinché altri vaccini senza problemi morali siano disponibili»; così come rivendica la legittimità della forma più eloquente di opposizione: l’obiezione di coscienza.

La possibilità di utilizzo dei vaccini immorali è possibile solo se, in mancanza di alternative, questi siano l’unico mezzo per proteggere da «rischi di salute significativi» e dal «pericolo di favorire la diffusione dell’agente patogeno». Teniamo ben presenti queste due condizioni. In ogni caso, il documento ribadisce che «la liceità dell’uso di questi vaccini non va interpretata come una dichiarazione di liceità della loro produzione, commercializzazione e uso».

            Un altro documento, decisamente più autorevole, che indica la direzione di questo sentiero è l’enciclica Evangelium Vitae, che al § 63, condanna il «procedimento che sfrutta gli embrioni e i feti umani ancora vivi […] sia come “materiale biologico” sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare per la cura di alcune malattie». Di fronte alla precipitosa obiezione che non si tratti di feti vivi, Mons. Sgreccia faceva notare quanto già avevamo abbozzato in precedenza: se si trattasse di feti morti, «i tessuti normalmente non sarebbero adatti al trapianto, a meno che il prelievo non avvenga nei primissimi istanti […]. Ma il rischio è che si cerchino il più possibile tessuti non alterati, capaci di rigenerarsi e quindi si vada alla ricerca del feto vitale attraverso contatti con donne predisposte all’aborto o con cliniche ove si pratica l’aborto volontario»[15].

Un altro prezioso contributo è il § 35 dell’Istruzione Dignitas Personae. Su alcune questioni di bioetica (2008), che richiama il principio già presente nell’Istruzione Donum Vitae[16], per cui «i cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo». Ritorna dunque il principio fondamentale che dev’essere evitata ogni complicità, ossia ogni accordo previo con chi compie l’aborto, il che avviene sempre. L’Istruzione stigmatizza inoltre il criterio di indipendenza, secondo il quale il materiale illecito può essere utilizzato, «purché ci sia separazione tra chi compie l’aborto, estrae i tessuti e li congela e i ricercatori». Chi invoca questo criterio non tiene conto a sufficienza che esso non riesce ad evitare «una contraddizione nell’atteggiamento di chi afferma di non approvare l’ingiustizia commessa da altri, ma nel contempo accetta per il proprio lavoro il “materiale biologico” che altri ottengono mediante tale ingiustizia». Il fatto che queste procedure ricevano una copertura legislativa non rimuove il problema etico, ma incrementa semmai la necessità di prendere le distanze da questo sistema «per non dare l’impressione di una certa tolleranza o accettazione tacita di azioni gravemente ingiuste. Ciò infatti contribuirebbe a aumentare l’indifferenza, se non il favore con cui queste azioni sono viste in alcuni ambienti medici e politici».  E’ esattamente il principio che abbiamo ritrovato nel documento della Pontificia Accademia per la Vita del 2005.

Il sentiero interrotto: PAV 2017

            Il 31 luglio 2017, tre giorni dopo la conversione in Legge del Decreto Lorenzin, la Pontificia Accademia per la Vita – sotto la presidenza di Mons. Vincenzo Paglia -, l’Ufficio per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana e l’Associazione dei Medici Cattolici Italiani emettevano una Nota che “semplificava” di molto la questione: «Le caratteristiche tecniche di produzione dei vaccini più comunemente utilizzati in età infantile ci portano ad escludere che vi sia una cooperazione moralmente rilevante tra coloro che oggi utilizzano questi vaccini e la pratica dell’aborto volontario. Quindi riteniamo che si possano applicare tutte le vaccinazioni clinicamente consigliate con coscienza sicura che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione all’aborto volontari»[17].

Per la Nota del 2017, il problema morale è praticamente scomparso, al punto da affermare che «alla luce dei progressi della medicina e delle attuali condizioni di preparazione di alcuni vaccini, [il documento del 2005] potrebbe essere a breve rivisto e aggiornato, soprattutto in considerazione del fatto che le linee cellulari attualmente utilizzate sono molto distanti dagli aborti originali e non implicano più quel legame di cooperazione morale indispensabile per una valutazione eticamente negativa del loro utilizzo»[18].

Si noti come l’unica forma di cooperazione presa in considerazione è quella rispetto all’aborto originario: non una parola su quella relativa alla produzione delle linee cellulari proveniente da feti abortiti né su quella relativa alla realizzazione di vaccini che utilizzano queste linee cellulari. La cooperazione rispetto all’aborto viene così ritenuta talmente remota da non essere eticamente rilevante, in quanto l’aborto è un atto puntuale, appartenente al passato. Secondo questa prospettiva, si nega coerentemente che si possa cooperare con un evento passato; e così spariscono anche le precise condizioni che sole rendevano lecito, nel documento del 2005, avvalersi di questi preparati, ottenuti in modo illecito. L’opposizione a questo sistema iniquo viene infine timidamente declassata ad una raccomandazione ad un non meglio precisato «impegno comune», immediatamente sovrastato dall’enfasi sulla responsabilità morale di vaccinarsi per il bene della società. La discontinuità rispetto ai documenti precedenti analizzati è palese[19].

Tentativo (abortito?) di ripresa

            Con lo scoppio della pandemia e l’autorizzazione, seppure condizionata, all’immissione in commercio dei “vaccini” che avrebbero dovuto contenere la diffusione del Sars-Cov-2, il problema della liceità morale di avvalersi di questi farmaci è tornato di attualità. La Congregazione per la Dottrina della Fede ha a riguardo emesso una nuova Nota[20] che si colloca in una posizione che, a parere di chi scrive, non contiene propriamente errori, ma risulta incapace di pareggiare la verità.

Anzitutto una considerazione sulla premessa; la Nota invita infatti a riferirsi indifferentemente al documento della PAV del 2005, all’Istruzione Dignitas Personae e infine alla Nota della PAV del 2017 per potersi orientare tra i «criteri generali dirimenti» il problema etico dei vaccini illeciti. La Nota del 2020 sembra non avvedersi della palese discontinuità che la Nota del 2017 introduce rispetto ai documenti precedenti, come abbiamo avuto modo di mostra sopra. In questo modo, la Nota del 2020 esordise creando confusione, anziché chiarire.

In secondo luogo, occorre rilevare che anche la Nota della CDF si concentra esclusivamente sulla cooperazione materiale mediata remota rispetto all’aborto da parte di chi si avvale dei vaccini anti- Covid-19: «In questo senso, quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili […] è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione», in quanto «il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota»[21].

E’ vero che non si tratta di un via libera, in quanto si precisa che «il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo, come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave»[22]. Rimane però il problema che spariscono dall’orizzonte le altre forme di cooperazione e il tema così importante della diffusione di una cultura della morte e della reificazione del feto umano.

La Nota del 2020, che pur continua a riconoscere l’evidenza «alla ragione pratica che la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale e che, perciò, deve essere volontaria» e dunque anche la possibilità, «per motivi di coscienza», di rifiutare «i vaccini prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti»[23], dà per scontati due giudizi di ordine medico, che avrebbero almeno dovuti essere attenzionati. Anzitutto l’effettiva capacità di questi sieri di impedire la diffusione dell’agente patogeno; è ormai evidente che le persone inoculate, a prescindere dal numero delle dosi somministrate, si infettano e infettano. E’ vero che all’epoca non vi erano ancora evidenze a riguardo; tuttavia una maggiore prudenza sarebbe stata più opportuna. La Nota, infatti, dopo aver ricordato che il dovere morale di evitare la cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è il pericolo della diffusione di un agente patogeno grave, conclude con una “assoluzione generale” che ha un tono tutt’altro che ipotetico: «è perciò da ritenere che in tale caso si possano usare tutte le vaccinazioni riconosciute come clinicamente sicure ed efficaci con coscienza certa che il ricorso a tali vaccini non significhi una cooperazione formale all’aborto dal quale derivano le cellule con cui i vaccini sono stati prodotti»[24]. Una conclusione così decisa riposa sulla falsa convinzione che appunto i “vaccini” siano in grado di contenere l’agente patogeno grave e contribuire così non solo alla salute personale, ma anche a quella della collettività. Trattandosi comunque di vaccini di fatto sperimentali, perché la Congregazione ha dato per scontato qualcosa che doveva ancora essere dimostrato sul campo?

Un altro problema non secondario della Nota del 2020 – problema peraltro presente anche del documento del 2005 -, è quello di ritenere che l’unica alternativa ad un vaccino illecito debba essere un altro vaccino, ottenuto senza ricorso alle linee cellulari provenienti da feti abortiti. Perché questa alternativa non potrebbe invece essere costituita da delle terapie e da precauzioni che siano utili al contenimento della propagazione del patogeno[25]?

Il problema più evidente rimane comunque il fatto che, mancando di riportare quei livelli di cooperazione che emergevano nel documento di PAV 2005 oltre che l’altro grande tema del consenso generale che si viene a creare rispetto all’operato dell’industria farmaceutica, la Nota del 2020 ha ristretto la valutazione morale alla cooperazione materiale mediata remota rispetto all’aborto e ha di fatto reso miopi al problema più ampio.

Conseguenze di questo errore di impostazione

            Con la riduzione del problema all’identificazione del mero grado di collaborazione rispetto all’aborto, è stato dato il via libera all’inoculazione di massa del vaccino. Il risultato disastroso, dal punti di vista etico, era da attendersi: la cooperazione materiale ha assuefatto le persone ad accettare passivamente l’integrità del sistema iniquo, mantenendo solamente, qua e là, un’opposizione rispetto all’aborto in generale.

E’ più che mai urgente recuperare l’intero quadro del problema. La domanda corretta non è: sto cooperando – e in che modo – all’aborto? Perché è chiaro che in questa direzione si arriva alla soluzione di PAV 2017. Non si può infatti propriamente collaborare con un’azione passata, conclusa.  Invece ha più che mai senso porsi altre domande: accettando di inoculare e farsi inoculare questi “vaccini”, si pone in essere una collaborazione alla commercializzazione di vaccini prodotti in modo illecito? Se sì, si finisce anche per collaborare al prelievo e utilizzo di materiale biologico proveniente da aborti? Se è vero tutto questo, non si sta di fatto sostenendo e propagando una mentalità che reifica l’essere umano, riducendolo a fornitore di materiale biologico, per il bene, reale o presunto, di altri?

Per abbracciare la vastità del problema, mi pare necessario ampliare il discorso. Le linee cellulari sono “solo” una parte del sistema iniquo di reificazione dell’uomo, soprattutto di quell’uomo muto e indifeso, che sono i feti nel grembo materno. Sul quotidiano online La Nuova Bussola Quotidiana[26] è stata resa nota l’entità del commercio negli Stati Uniti di tessuti ricavati da bambini volontariamente abortiti: 88 milioni di dollari da impiegare per la ricerca sui tessuti fetali, solo nel 2022. Questo è stato reso possibile grazie alla decisione del neoeletto presidente Joe Biden di annullare la decisione dell’ex-presidente Donald Trump, che, nel 2019, aveva congelato i finanziamenti per la ricerca sui tessuti fetali destinati al National Institutes of Health.

Se ci si sposta in Australia, troviamo lo scandalo legato all’olandese compagnia di biotecnologia Crucell, specializzata nella produzione di vaccini e anticorpi e che ha realizzato la linea cellulare PER.C6, poi acquistata da Johnson & Johnson. Il quotidiano australiano Herald Sun nel 2003 aveva rivelato che la Parexel International di Sydney si era accordata con la Crucell per inviare nei laboratori olandesi tessuti fetali tratti da alcuni dei circa 90 mila aborti compiuti in Australia; tessuti che sarebbero poi stati utili per la realizzazione dei vaccini contro ebola e HIV. Appena un mese prima, la Crucell aveva bussato alle porte della Nuova Zelanda, alla ricerca di feti che non fossero stati contaminati dall’encefalopatia spongiforme bovina, più conosciuta come “mucca pazza”.

In Svizzera negli ultimi 30 anni si è sviluppata la FPC therapy (fetal progenitor cell)[27]; si tratta di medicina rigenerativa cutanea, muscoloscheletrica e del tratto respiratorio, che richiede un approvvigionamento di tessuti fetali e dunque di una banca per conservarli, la Swiss Fetal Progenitor Cell Banking. Nell’articolo scientifico del 23 ottobre del 2020, riferito in nota si legge: «Molteplici tessuti fetali (pelle, cartilagine, tendini, muscoli, ossa, polmone) potrebbero essere prelevati simultaneamente ed elaborati per aderenti colture cellulari, stabilendo un modello univoco per una catena di approvvigionamento di materiale cellulare terapeutico sostenibile».

Infine, Stacy Trasancos, membro dell’associazione Children of God for Life, ha mostrato in articolo del 15 dicembre 2020[28] le nuove frontiere dell’utilizzo del “materiale biologico” prelevato dai feti abortiti: innesto su topi “umanizzati” di pelle umana, prelevata da feti abortiti di 18-20 settimane; feti del secondo e terzo trimestre di gravidanza esposti ai composti polibrominati; prelievo di fegato, midollo e milza da feti del secondo trimestre di gestazione per studi sullo sviluppo dell’immunità nei neonati.

Riprendere il sentiero

            Poiché dunque il contesto è quello sopra descritto, come faceva notare Mons. Rodriguez Luño in un articolo su Medicina e Morale, che ha accompagnato il documento di PAV 2005, «di fronte a una tale cultura acquistano grande rilevanza etica le modalità di cooperazione che prima abbiamo chiamato passive e quelle di carattere culturale e sociale, nonché alcune precise modalità di cooperazione remota. Non è più possibile limitarsi a evitare le modalità di cooperazione attiva immediata (“non sporcarsi le mani direttamente”). […] I cittadini, i medici, i ricercatori, ecc. non possono considerarsi meri osservatori passivi delle ingiustizie commesse da altri, accontentandosi di non diventare essi stessi la loro causa immediata o complici in senso attivo e prossimo»[29].

Per riprendere il sentiero, è necessario centrare il problema cardine, che sostiene tutto il resto; e questo problema è proprio quello della creazione di una cultura del mors tua vita mea, una cultura che ritiene legittimo che alcuni muoiano per il bene dell’intera nazione, una cultura che decide che alcuni esseri umani non sono persone, ma meri fornitori di “materiale biologico”. Limitarsi ad affermare che non si sta cooperando con l’aborto, significa non solo non aver compreso la vastità del problema, ma divenire anche parte attiva che mantiene in vita e rilancia questo sistema iniquo.

L’indicazione data dalla Nota del 2020 è stata, da questo punto di vista, fuorviante; il problema è stato affrontato quasi esclusivamente sul piano della collaborazione personale del singolo con l’aborto; e così l’affermazione di una semplice cooperazione materiale mediata remota – punto di visto, lo ripetiamo, del tutto insufficiente ad inquadrare il problema etico sottostante – è stata di fatto il via libera per avvalersi di vaccini illeciti, senza porsi il problema della cooperazione con tutto un sistema di ricerca, sperimentazione e produzione di farmaci che trova nella pratica abortiva e nello smembramento di innocenti l’origine indispensabile della propria esistenza. E nella commercializzazione di questi “prodotti” la fonte della propria sussistenza.

Per questo Rodriguez Luño sottolineava essere di estrema importanza evitare «di partecipare alla commercializzazione (sia vendendo che comprando) dei prodotti ottenuti mediante mezzi immorali, di contribuire in qualche modo a creare una domanda di tali prodotti, così come si dovrà evitare di favorire un clima sociale di approvazione che renderebbero cronici gli abusi e le ingiustizie»[30]. Bisogna realisticamente realizzare che a questo sistema interessa più quello che noi facciamo, che non quello che pensiamo, se non nella misura in cui quello che pensiamo potrebbe distogliere le persone dal porre in atto comportamenti secondo le aspettative. Da questo punto di vista, mi pare che la pur importante distinzione tra cooperazione formale e cooperazione materiale debba essere ripensata. Stephan Kampowski[31] ha proposto delle precisazioni di estrema importanza, sottolineando che nel caso del rapporto tra assunzione di farmaci prodotti mediante l’uso di linee cellulari illecite e l’aborto, bisognerebbe parlare più correttamente di appropriazione che non di cooperazione[32]. Puntualizzazione corretta in riferimento all’aborto, mentre invece la categoria della cooperazione appare come adeguata in riferimento alla produzione e commercializzazione delle linee cellulari illecite e dei vaccini realizzate servendosi di esse.

Primo rilievo: se si accetta pacificamente il beneficio proveniente da un azione gravemente immorale si manda il messaggio che ci sia una domanda per i risultati di tali azioni cattive e se ne incoraggia così l’offerta. Cooperare anche solo materialmente con la commercializzazione dei prodotti ottenuti con materiale biologico illecito mantiene in vita il sistema. Occorre sempre tener presente che il sistema si nutre del fatto che noi ci avvaliamo dei prodotti realizzati in modo illecito.

Esiste poi il rischio concreto di sviare altre persone, portandole a ritenere lecito non solo l’utilizzo del beneficio, ma anche quello dell’azione moralmente inaccettabile. E’ il problema dello scandalo, che era stato ricordato dal documento di PAV 2005. La “normalità” dell’utilizzo dei vaccini illeciti, il venir meno dell’opposizione, crea una forma mentis che finisce per ritenere che sia l’utilizzo come anche la modalità di realizzazione di tali vaccini, nelle sue fasi di ricerca, sperimentazione e test, sia dopotutto giustificata dalla finalità della salute pubblica.

Un altro enorme problema è l’indebolimento della credibilità e della forza dell’opposizione. E’ teoricamente possibile accettare i benefici di un’azione cattiva senza approvare tale azione; tuttavia il ragionamento per cui “condanno ciò che fai, ma mi avvalgo di ciò che fai” fiacca in partenza la forza e la limpidezza della necessaria testimonianza a difesa della vita. Solo delle ragioni proporzionate alla gravità dell’atto moralmente inaccettabile e l’occasionalità della “incoerenza” potrebbero in qualche modo mitigare l’altrimenti evidente ipocrisia. E nel contempo, bisogna tener presente che il valore del bene che si vuole difendere emerge chiaramente da quanto si è disposti a rischiare. Se la posta in gioco da difendere è la vita di persone innocenti, la trascendenza della persona umana, l’impossibilità di ridurne il valore alla categoria dell’utile, allora occorre essere disposti a rischiare molto.

Infine, abituarsi a servirsi delle conseguenze di azioni cattive finisce per inclinare la nostra volontà all’indolenza e oscurare progressivamente l’acutezza del nostro intelletto. E’ il noto principio per cui se non si vive come si pensa, si finisce per pensare come si vive.


[1] Per una lista completa dei vaccini disponibili in Italia realizzati con linee cellulari illecite, si veda https://www.renovatio21.com/lista-dei-vaccini-italiani-realizzati-con-linee-cellulari-di-feto-abortito/.

[2] D. Wrapp, N. Wang, K.S. Korbett, et al., «Cryo-EM structure of the 2019-nCoV spike in the prefusion conformation», Science, 19 Feb 2020, Vol 367, Issue 6483, 1260-1263, DOI: 10.1126/science.abb2507.

[3] Supplementary Appendix to L.A.Jackson, E. J. Anderson, N. G. Rouphael, et al., «An mRNA vaccine against SARS-CoV-2 — preliminary report», The New England Journal of Medicine 2020; 383:1920-31. DOI: 10.1056/NEJMoa2022483.

[4] K. S. Corbett, D. K. Edwards, S.R.  Leist, et al., «SARS-CoV-2 mRNA vaccine design enabled by prototype pathogen preparedness», Nature 586, 567–571 (2020), https://doi.org/10.1038/s41586-020-2622-0.

[5] A. B. Vogel, I. Kanevsky, T. Che et al., «A prefusion SARS-CoV-2 spike RNA vaccine is highly immunogenic and prevents lung infection in non-human primates», bioRxiv, 8 Sep. 2020, DOI: https://doi.org/10.1101/2020.09.08.280818.

[6] N. van Doremalen, T. Lambe, A. Spencer et al., «ChAdOx1 nCoV-19 vaccine prevents SARS-CoV-2 pneumonia in rhesus macaques», Nature 586, 578–582 (2020), https://doi.org/10.1038/s41586-020-2608-y.

[7] N. B. Mercado, R. Zahn, F.  Wegmann,  et al., «Single-shot Ad26 vaccine protects against SARS-CoV-2 in rhesus macaques», Nature 586, 583–588 (2020), https://doi.org/10.1038/s41586-020-2607-z; L. H. Tostanoski, F.  Wegmann, A. J. Martinotet al., «Ad26 vaccine protects against SARS-CoV-2 severe clinical disease in hamsters», Nat Med 26, 1694–1700 (2020). https://doi.org/10.1038/s41591-020-1070-6.

[8] S. Bangaru, G. Ozorowski, H. L. Turner, et al., «Structural analysis of full-length SARS-CoV-2 spike protein from an advanced vaccine candidate», Science, 20 Oct 2020, Vol 370, Issue 6520, 1089-1094, DOI: 10.1126/science.abe1502.

[9] Lettera Prot. n. P/3431.

[10] Si legga a riguardo l’importante contributo di J. L. Trasancos, La verità sulle linee cellulari fetali, lo sviluppo dei vaccini e lo studio dei tessuti fetali, in L. Scrosati, L’idolatria dei vaccini. Il problema morale degli esperimenti sui feti abortiti, Fede & Cultura, Verona 2022, 18-29.

[11] B. Ma, L. He, Y. Zhang, «Characteristics and viral propagation properties of a new human diploid cell line, Walvax-2, and its suitability as a candidate cell substrate for vaccine production», Human Vaccines & Immunotherapeutics, 11:4, 998-1009, april 2015, DOI: 10.1080/21645515.2015.1009811.

[12] Cf. E. Sgreccia, Manuale di Bioetica. Fondamenti ed etica biomedica, Vol. I, Vita e Pensiero, Milano 20074, 797-799.

[13] S. Dorman, Doctors say Pitt statements point to possibility organs extracted from live fetuses; school denies charge, 11 agosto 2021, https://www.foxnews.com/politics/pittsburgh-live-fetus-organs.

[14] Il documento è ancora consultabile qui: https://www.gianmariacomolli.it/2021/02/20/pontificia-accademia-la-vita-riflessioni-morali-circa-vaccini-preparati-partire-cellule-provenienti-feti-umani-abortiti/

[15] E. Sgreccia, Manuale di bioetica, cit., 799. Poco prima Sgreccia affermava realisticamente che c’è sempre un accordo previo tra chi realizza l’aborto e chi commissiona il prelievo di tessuti, «in quanto, per l’uso che si fa dei feti, l’aborto viene spesso eseguito ad hoc e quindi alla fine dell’intervento il feto può essere ancora vivo anche se non viabile» (Ibi, 798).

[16] Congregazione per la Dottrina della Fede, Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, 22 febbraio 1987.

[17] Pontificia Accademia per la Vita, Nota circa l’uso dei vaccini, 31 luglio 2017, https://www.academyforlife.va/content/pav/it/the-academy/activity-academy/note-vaccini.html

[18] Ibi.

[19] Per l’analisi di questa discontinuità, rimando a S. Kampowski, Cooperation, appropriation, and vaccin relying on fetal cell’s line research, The Catholic World Report, 24 gennaio 2021, https://www.catholicworldreport.com/2021/01/24/cooperatione-appropriation-and-vaccines-relying-on-fetal-stem-cell-research/.

[20] Congregazione per la Dottrina della Fede, Nota sulla moralità dell’uso di alcuni vaccini anti-Covid-19, 21 dicembre 2020, https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/12/21/0681/01591.html

[21] Ibi, §§ 2-3.

[22] Ibi, § 3.

[23] Ibi, § 5.

[24] Ibi§  3.

[25] Per questa parte rimando a L. Scrosati, L’idolatria dei vaccini, cit. 57-64.

[26] Cf. L. Scrosati, Cellule fetali, la differenza Trump-Biden. E un dovere…, 8 settembre 2021, https://lanuovabq.it/it/cellule-fetali-la-differenza-trump-biden-e-un-dovere; E. Dovico, Aborti e ricerca, 88 milioni da Biden. E sui nati vivi…, 14 marzo 2022, https://lanuovabq.it/it/aborti-e-ricerca-88-milioni-da-biden-e-sui-nati-vivi

[27] Si veda A. Laurent, N. Hirt-Burri, C. Scaletta, et al., «Holistic Approach of Swiss Fetal Progenitor Cell Banking: Optimizing Safe and Sustainable Substrates for Regenerative Medicine and Biotechnology», Front Bioeng Biotechnol. 8:557758, 23 Oct. 2020, DOI: 10.3389/fbioe.2020.557758; A. Laurent, P. Abdel-Sayed, C. Scaletta, et al.,«Evolution of Diploid Progenitor Lung Cell Applications: From Optimized Biotechnological Substrates to Potential Active Pharmaceutical Ingredients in Respiratory Tract Regenerative Medicine»,Cells 2021, 10, 2526, 24 Sept. 2021, https://doi.org/10.3390/cells10102526;

[28] S. Trasancos, How aborted children are used in Medical Research in 2020, National Catholic Register, 15 dicembre 2020, https://www.ncregister.com/blog/how-aborted-children-are-used.

[29] A. Rodriguez Luño, «Riflessioni etiche sui vaccini preparati a partire da cellule provenienti da feti umani abortiti», Medicina e Morale, 2005/3, 525-526.

[30] Ibi, 526.

[31] Cf.  S. Kampowski, Cooperation, appropriation, and vaccin relying, cit.

[32] Su questo aspetto rimando a L. Scrosati, L’idolatria dei vaccini, cit., 81-84.

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